Ave Maria sull’Ortles

Un racconto di Ezio Franceschini, grande latinista che fu rettore dell’Università Cattolica, della sua salita sull’Ortles dove per la gioia scrisse sulla neve Ave Maria più volte e quelle scritte furono di grande aiuto, ma leggiamo l’articolo.

Ero al Rifugio Payer (3000 metri) nell’estate del 1950 e volevo salire sull’Ortles, da solo come avevo fatto altre volte. L’Ortles è una montagna stupenda, che tocca -quasi- i quattromila metri. Si sale per la via comune -come dicono gli alpinisti- dal Rifugio Payer dove si arriva, in tre ore da Solda, la sera prima per passarvi la notte.

Ortles o Ortler

Si parte alle quattro, al più tardi, legandosi in cordata nel rifugio stesso. Poco dopo si incontra una paretina di roccia, alta cento metri circa, dopo la quale si mettono i ramponi (sono certi arnesi, articolati, con acute punte di acciaio, per camminare sicuri sul ghiaccio, che si applicano sotto gli scarponi da montagna) perché di là, la salita è solo per ghiaccio e neve fino alla cima. E solo sulla cima, qualche metro sotto, si trova un po’ di roccia, resa friabile dal gelo, sulla quale fu fissata, anni dopo (all’epoca del racconto non c’era), una grande croce. Io partii, dunque, che non erano ancora le quattro. Solo, con sacco e piccozza (che è un robusto bastone con una punta di acciaio; e un’altra, più lunga, dove si tiene la mano destra, terminante in una specie di paletta per tagliare dei gradini nel ghiaccio).

Verso l’Ortles

Camminavo in fretta, non avendo né corda né compagni da assicurare e da aspettare. Lo spettacolo era grandioso: pareti di ghiaccio e abissi, esili crestine su spaccature enormi, tracce, ma solo qua e là di gente passata il giorno prima. Per questo, se non c’erano amici preferivo andare solo in montagna: perché in un silenzio non rotto da parole, mi pareva tutta mia. Col suo bianco lucente, con il suo freddo –lassù si è sempre sotto zero- con le nuvole (quando c’erano) che passavano rapidissime, portate dal vento. Tutta mia… guardavo e godevo, pensavo e pregavo fra me senza parlare.

 

Salivo lento, ora che la pendenza e il pericolo di scivolare erano grandi. Tutto quel bianco, senza macchie, mi faceva pensare alla Madonna, di cui ero –e sono- devotissimo. E poiché tempo ne avevo, di tanto in tanto mi fermavo e scrivevo nel ghiaccio, nei punti più difficili AVE MARIA, con la punta della piccozza. Poi spazzavo via i frammenti di ghiaccio con la mano così che si potesse leggere bene. AVE MARIA… AVE MARIA…

Mi sentivo dentro leggero, lieve e felice. Mi sembrava d’avere, invisibile compagno, l’arcangelo Gabriele che per primo aveva, un giorno lontano, pronunciato per la prima volta quelle parole benedette, direttamente a Maria.

Arrivai così al Bivacco Lombardi (3700 metri) dove le difficoltà della salita finiscono e, passando per un enorme gobba nevosa (il ghiaccio è finito), si arriva alla cima. Il cielo rimaneva splendido, il freddo era intenso. Guardai l’orologio. Avevo impiegato due ore a giungere lassù invece delle quattro legati in cordata. Ne passai un’altra a guardare il mondo: centinaia e centinaia di cime bianche, laghi azzurri che parevano gocce, in quella immensità, valli nere di abeti in fondo alle quali ci dovevano essere (ma per fortuna non si vedevano) case, borghi, villaggi. Solo Solda, la bellissima Solda, si nascondeva ancora al sole, duemila metri sotto di me. Scesi di corsa, aiutandomi con la piccozza. Mi inebriavo di neve e di sole.

Incontrai diverse cordate che salivano: lentamente, affaticate, stanche. Salutai con la mano. Non mi fermai neppure al Rifugio Payer: a mezzogiorno ero già all’albergo Eller, di Solda, il più comodo e bello e confortevole e familiare di cui vi ho parlato più volte.

Rifugio Payer

Un mese dopo, finite le vacanze, ero già a Milano. Un giorno trovai, fra la posta, una lunga lettera, col bollo straniero. Veniva da Linz, in Austria, e diceva cosi:

Chiesa di Solda

“Caro professore,

chi scrive è uno sconosciuto che lei non ha mai visto né forse vedrà mai. Ho passato l’estate a Solda e fui sull’Ortles il giorno dopo di lei. Proprio di questo voglio e devo parlarle. Dunque, era un giorno bello, ma stranamente caldo, quando, la mattina, partii per la cima. Solo, perché credo di essere un buon alpinista. Ma non ero mai stato su quel monte. Durante la salita notai parecchi “Ave Maria” scolpiti con la piccozza, sul ghiaccio, nei punti difficili: e mi chiesi chi mai (io non sono molto devoto) l’avesse fatto. E perché?

Via dell’Ortles

Giunto in vetta, e guardando giù verso Solda, vidi dei nuvoloni neri, che non promettevano nulla di buono e si ingrandivano a vista d’occhio. Preoccupato, raccolsi il sacco e mi buttai per la discesa. Non mi accorsi del bivacco Lombardi, ma anche se lo avessi visto avrei proseguito ugualmente: volevo arrivare al Rifugio Payer ma, poco dopo, la bufera m’investì con violenza inaudita; cancellò le poche tracce, mi circondò di nero e di vento, così che non vedevo da un metro di distanza. Ed era il tratto più difficile! Accecato dal nevischio, privo di direzione, incapace di andare né avanti né indietro, mi appoggiai alla parete di ghiaccio, disperato.

Quand’ecco che sotto la mia mano apparvero delle lettere …AVE… MARIA… le riconobbi e urlai di gioia. Erano le lettere della scritta che, salendo, avevo veduto e -devo confessarlo- avevo disprezzato. Ero nella direzione giusta. Dunque. Quella certezza mi diede, con la voglia di non darmi per vinto, un enorme coraggio. Ma la bufera non cessava. Urlava, come se volesse strapparmi dalla parete e portarmi via, nell’abisso e ancora una volta, proprio nel momento più difficile, a pochi centimetri dalla morte, sentii sotto la mano che tastava disperatamente le lettere di quella parola che la tormenta aveva già quasi interamente ricoperto: AVE… MARIA.

Piansi. E mentre levavo le mani dalla faccia -già la barba, i baffi, erano incrostati di ghiaccioli- sentii delle grida in basso. Risposi. E quando tre ombre sbucarono nella tormenta e vennero vicine riconobbi in loro il custode del Rifugio Payer e due guide, che preoccupate, erano venute a soccorrermi, temendo il peggio. Giù al rifugio da loro seppi chi il giorno prima aveva tracciato quelle AVE MARIA: alcuni salitori l’avevano vista dal basso, professore, e, più di me avevano rispettato quelle lettere completando, in silenzio, e levandosi il cappello, la preghiera alla Vergine Maria, più immacolata di quelle nevi. Quanto a me, professore, da quel giorno ho fatto voto di dire un’Ave Maria ogni sera, per tutta la vita.

Ecco quello che ho creduto mio dovere scriverle. Suo Hans Bischoff”

Quando ebbi finito di leggere, ero molto commosso. Rividi quella salita. Risentii, nel mio cuore, la gioia arcana di quelle lettere scritte. Ma chi, chi le aveva scolpite nel ghiaccio? La mano che teneva la piccozza era la mia, ma chi la muoveva? Invisibile l’arcangelo Gabriele.

Ezio Franceschini

Ezio Franceschini

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