Luigi Giussani nel libro Si può (veramente?!) vivere così? (a pag. 270 e seguenti) cita una frase dettagli da Nori Grassi: «Ti do un’etimologia bellissima che ho trovato in indoeuropeo: la radice sin. La radice sin è stata tradotta nei linguaggi mediterranei col termine sequela (sin = sequor), ma nei linguaggi anglosassoni e nordici con seen, vedere. Perciò vedere è seguire: nella storia del pensiero umano e dell’esperienza umana, vedere è seguire, vedere e seguire sono sinonimi».
Nel testo citato don Luigi Giussani continua sviluppando il concetto:
conoscere il Mistero
«Così, secondo me, non è del tutto vero che prima c’era la definizione, adesso c’è il senso del Mistero e perciò si conosce di più. La definizione riconduce a parole note; se è Mistero, non può essere ricondotto a parole note – può essere indicato da parole note -, ma tu conosci il Mistero come Mistero solo seguendo una presenza che rappresenta il Mistero, che è segno del Mistero, che porta nel suo grembo il Mistero…
Nascendo l’uomo dal Mistero – cioè da Dio -, “quello che è, è incommensurabile con quello che sa”, diceva Ricoeur. Ciò che è deborda infinitamente da quello che l’uomo afferra e definisce; e ciò non toglie che l’uomo possa definire giusto o definire sbagliato, cioè indicare termini esatti che diano una definizione pertinente, o indicare termini falsi per una definizione che non sia pertinente. Ma qualsiasi definizione non stringe nella sua prigionia non solo nessun essere umano, non Gesù – il mistero di Cristo -, ma neanche il sasso, il sassolino, il grumino di terra col quale il seme si confonde. Tutto ciò che è travolge dal di dentro qualsiasi fotografia di esso, anche la fotografia intellettuale che ne può fare l’uomo, anche la fotografia della vostra conoscenza. Questo non vuol dire che la fotografia della nostra conoscenza sia ambigua perché sempre sbagliata; non è sbagliata, è inadeguata: può essere giusta, ma è sempre inadeguata.
Quid animo satis? Se tu facessi un’analisi di quel che desideri e lo scrivessi su un foglio di quaderno fino al punto in cui non ti viene più in mente niente, proprio niente, il tuo cuore non sarebbe la somma di quei desideri segnati: è infinitamente debordante. E il tempo rivela questo.
Perciò, se tu pretendi di esaurire la conoscenza prima di seguire, ti metti in una prigione
da cui non uscirai più. Invece è l’inverso: appena c’è uno spunto che tu riconosci, segui. Cosa vuol dire seguire? Guardare. Secondo il linguaggio oggettivo degli uomini, seguire vuol dire guardare. Che verbo abbiamo usato per Giovanni e Andrea? Lo “guardavano” parlare!».
L’itinerario dello sguardo
Partendo dalla mia esperienza in alta quota provo a descrivere l’itinerario dello sguardo nell’impatto con la realtà delle montagne. Quando quando giungo ad un punto panoramico in cresta:
- prendo iniziativa, mi fermo e guardo la cerchia delle montagne di fronte a me,
- prima il mio sguardo spazia stupefatto
- poi vedo un aspetto che mi attrae particolarmente (qui l’inconfondibile sagoma del Cervino, montagna che si erge isolata)
- e ne contemplo, meravigliato, la stele inconfondibile che nasce dal Mistero che fa tutte le cose.
- Il Cervino che ho guardato con attenzione mi “chiama a sé”, la sua immagine si fissa nella memoria.
- Vedere implica il seguire e seguire implica l’azione: il desiderio dell’ascesa del Cervino, coltivato da me per anni, si è compiuto non molto tempo fa. Io ho avuto la fortuna, meglio la grazia, di salire sulla cima e ne sono grato. (Ma l’attrazione della montagna, che è segno, non viene meno, essa continua ad attrarmi!).