“L’io rinasce in un incontro. Se uno non avesse mai visto il sole e fosse sempre vissuto nella notte, non potrebbe neanche capire cos’è la luce. Ma al primo chiarore dell’alba sarebbe colpito e travolto come da un avvenimento eccezionale, perché incominciano a delinearsi le figure delle cose.
Non è più tutto sommerso nell’omologazione ostile della notte, incominciano a vedersi le forme delle cose. Certo, non può ancora sognare il sole, eppure la luce dell’alba appartiene al sole…
Vale a dire la bellezza delle cose che sono transito, passaggio, che sono segno, “inizio-di”, perché l’alba ti introduce alla giornata; dunque è l’affermazione della bellezza delle cose, e che la loro transitorietà è il pregustare, è l’inizio dell’eterno, perciò non si perdono più («neanche un capello del vostro capo!»), e questa bellezza «non ci imprigioni».
Questo è il punto! «E la bellezza delle cose transitorie non ci imprigioni.» Quando la bellezza delle cose transitorie ci imprigiona? Quando è guardata, concepita, abbordata, vissuta obliterando la sua natura profonda, che è quella di essere accenno-a, passaggio-a, segno-di, anche se un segno e un accenno che costituiscono l’inizio del futuro, poiché non c’è soluzione di continuità fra questo essere effimero e l’essere come tale, l’essere eterno, come non c’è soluzione di continuità fra l’alba e il sole, lo splendore del mezzogiorno”.