A 10 anni dalla Sua scomparsa
Arrancavo, verso le 5 di pomeriggio, lungo il sentiero verso il Rifugio della Lausa. Davanti a me un gruppo di amici e il papà di uno di loro. Mi fermo a rifiatare un attimo, a un tornante: “Scusi, ha mica da bere… o una prugna secca, qualcosa, non ho pranzato”. “Sì, ma ricordati che in montagna non si fanno queste idiozie”. Già di mio ero suscettibile, per essere poi uno che conoscevo a malapena, partiva malissimo. Ho frequentato poco Beppe, eppure mi sento ancor oggi Suo amico, e un po’ figlio. Certamente devo a Lui l’amore intenso e istintivo per quelle vallate.
Poche, bellissime gite, forse sei o sette, nel verde e tra le rocce bianche del Vallone di Unerzio, dell’Ischiator, del Colle di Vens. Gite lunghe ma semplici, insieme a Lui che la montagna la conosceva davvero, fatta di mani, pareti, corde, ramponi e rinvii. E poi tante cene, capodanni, nella casa di Confreria sopra Cuneo, dove i cartelli indicano Acceglio, Dronero, il confine, e i crinali sferzati dal vento, con i fili spinati dell’ultima guerra.
A casa di Beppe e Gabriella
sua moglie, mi son sempre sentito preso sul serio, ma non perché abbiamo fatto chissà quanti e quali discorsi. Ripensando a quelle cene, a quelle feste, ho avuto in seguito l’impressione di un uomo – e di riflesso la Sua famiglia – che sapeva voler bene perché per Lui la felicità era una cosa seria; e il Suo modo di voler bene era guardar sul serio, da padre, anche gli amici dei figli. Beppe è stato ed è il papà di Cristina, Paolo, Luca, miei carissimi amici da più di 20 anni.
Come leggerete più avanti, e vedrete dalle bellissime immagini che abbiamo ritrovato con Paolo, ho incontrato un uomo appassionato, certo di un bene da trasmettere a chi aveva davanti. Uno per cui la vita è una cosa intensa, una cosa bella.
Una sera, io e due di noi eravamo partiti con Beppe per raggiungere le Grange Bernard, a metà strada per salire alla cima del Mongioia; pioveva ed era buio. Faceva un po’ il muso perché ci eravamo fermati mezzora a Busca a prender biscotti, prosciutti e viveri vari. Anche perché 2 giorni a pane, acqua e salame a Lui sarebbe andato bene, a noi – cittadini e studenti – non proprio. Così si era fatto tardi ed era iniziato a piovere poco dopo la partenza. E si era fatto buio. Passa un’ora, un’ora e un quarto, veniva giù che Dio la mandava. “Beppe, piove ed è buio, se ci fermassimo?” Risposta secca: “Ragazzi…bastava non perder tempo giù in basso”. Poi la pioggia aveva smesso, e avevamo montato la tenda. Finalmente si mangia. Polenta e formaggio, del vino, la frutta. E alla fine un sorriso bellissimo, immortalato da un video che ho ancora: “Bisogna essere dei matti a venire fin qua!”
Perché ogni volta che arrivavamo su una cima
a un rifugio, a una meta, ce lo ripetevamo sempre, e glielo si leggeva in volto: stavamo facendo la cosa più bella del mondo. Camminando insieme, o prima di addormentarci, lassù, lo impallinavo con domande di storia, se si ricordava della guerra, della risalita dei tedeschi da Boves, da Cuneo. E degli anni ’70, di che cosa erano stati, perché in quegli anni Beppe la politica l’aveva fatta davvero, la faccia ce l’aveva messa davvero, da consigliere comunale della Sua Cuneo, nella DC; quando a essere Democristiani veri, e ad esporsi, si rischiava non poco.
Ma – prima di lasciarvi alle immagini e alle testimonianze raccolte insieme a Paolo, Luca e Cristina – una cosa importante, fondamentale: io non ho mai avuto l’impressione che per Lui la montagna fosse un’evasione dal tran tran quotidiano. Che gli piacesse immensamente ne son certo, ma credo fosse il paradigma di un metodo per la vita.
Lo capirete vedendo gli appunti, meticolosi, con cui preparava le scalate. Lo vedrete nella drammaticità di alcune domande – “mi chiesi allora se l’alpinismo aveva un senso” – e nella pienezza di alcuni appunti fugaci – “sono immensamente felice di tutto” -.
Questo sito (La compagnia della cima), fatto da semplici amici, nasce a 10 anni dalla Sua scomparsa. Nel modo, nello stile, nella semplicità e nella bellezza, desidero che esprima e che possa far vedere il gusto con cui Beppe guardava la montagna.
Fabio A. – Giugno 2015
Quando mi è stato chiesto di scrivere un ricordo di papà su questo sito mi è nato un sorriso a ricordare quelle sere che da ragazzini si preparavano gli zaini per la gita in montagna del giorno dopo. Papà faceva finta di distribuire il peso, ma in realtà nei nostri zaini finivano solo la giacca vento e le caramelle. Poi prendeva un libretto in finta pelle marrone (ne aveva uno per ogni valle del cuneese) e ci descriveva la bellezza della meta e il percorso ponendo l’accento su vari dettagli quali durata, dislivello, tipo di paesaggio (ghiacciaio, pietraia, bosco di conifere ecc.) che avremmo incontrato e, importantissimo, l’ultima sorgente dove si potevano riempire le borracce. Non si dovevano fare sacrifici inutili, per cui si arrivava con la macchina fin dove possibile e ricordo il suo entusiasmo quando ha potuto acquistare le giaccche a vento in piumino d’oca (calde e soprattutto leggere) o una tenda che pesava meno di 4 kg!
Si partiva presto, in ordine e in silenzio (più o meno) si seguiva lui, che dava un passo molto lento e ogni tanto ci indicava qualcosa da ammirare. A un certo punto si faceva una pausa e si mangiava e beveva qualcosa. Mi è rimasto anche impresso che in quegli anni in cui non si parlava neanche di ecologia ci faceva portare i rifiuti a valle educandoci con discrezione e senza tante parole al rispetto per ciò che ci stava attorno.
Sì, portandoci in montagna ci ha insegnato a vivere cercando e riconoscendo una meta e una strada, a fare i sacrifici necessari, a godere del bello e della compagnia di chi cammina con te non solo sui sentieri di montagna, ma anche nelle corsie di un ospedale o per le strade di città.
Cristina, figlia di Beppe – Giugno 2015
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28)
La parola gratitudine è quella più adatta per riassumere tutto il sentimento che provo ripensando al dono che è stato mio padre per noi. Mi piace pensare che il Signore l’abbia voluto con sé in un momento in cui era particolarmente felice per compiere all’infinito quella felicità. Lo hanno sempre contraddistinto la tenerezza, la bontà, la prontezza a prendere su di sé i nostri problemi, cercando di risolverli, con grande umiltà e discrezione. Si dava tutto, gli importava sopra ogni cosa che fossimo felici e così ci ha testimoniato che questo darsi è la strada maestra per essere lieti e compiuti. Ci ha voluto bene, soprattutto quando ci incitava ad essere fedeli alla compagnia di Cristo, così come la avevamo, per grazia, incontrata.
Certa che un giorno ci riabbracceremo chiedo che interceda perché la sua carità diventi un po’ anche la mia.
Cristina, figlia di Beppe – Giugno 2005
“Vorrei solamente dire che tutte le mattine, quando mi alzo, io un pensiero a Beppe lo faccio, col cuore. E che tutte le volte che vado in montagna, o quando guardo il Sautron, da lontano, mi viene in mente Beppe. Ecco, io non riesco a dire tante altre cose, ma questa sì: mi ha insegnato ad andare in montagna; mi ha insegnato – mentre andavo – a godere del fiore, del ruscello, mi ha fatto capire che bisognava prendere l’acqua prima, tenere un po’ di cibo perché non si sa mai, perché bisogna essere attenti per arrivare al giorno dopo; mi ha proprio insegnato quello, sì.”
Pier – Giugno 2015
“Punta i piedi!”
“Accidenti, questo è tosto!” pensavo e rimuginavo mentre salivamo con lui io, Ciskje e Fabio in quella “due giorni” che avevamo voluto vivere insieme in montagna. Noi “cittadini”, io in particolare, forse, smaniosi di vivere un’esperienza bella, grande, con “uno che di montagna se ne intende”. Conoscevo già Beppe Tonello, come “il papà di Ton!”, simpatico, deciso, dinamico, amico di noi ragazzi. L’avevo incontrato in tante occasioni felici a Cuneo, e cercavo di scorgere in lui i caratteri di Paolo, di Luca, di Cristina e di scrutare i tratti dell’uomo forte di Cuneo, di una tradizione e di una terra che amo, da cui anch’io vengo e che sento mia. Lo conoscevo così. Ma in quell’escursione non era il papà di un amico che “accompagna i ragazzi”, era innanzitutto un uomo che aveva voglia di camminare, di vedere, di arrivare e con noi guida e compagno di cammino. E quella “due giorni” è stata dura, perché abbiamo camminato tanto, perché il tempo non è stato clemente e perché abbiamo dovuto più di una volta rivedere i programmi. Ma lui sempre vicino e deciso.
Nella mente ho due ricordi particolari: il suo sorriso, ancora più bello perché non scontato. Non formale, né indulgente. Semplicemente vero. E mi ricordo che lo aspettavo, lo attendevo quel sorriso. Mi sono divertito in quelle giornate, ma ho faticato, abbiamo faticato, tutti e quattro. Come in tutte le gite, sono tanti i sentimenti che si affastellano in me insieme alle idee e ai pensieri, belli e brutti, che mi sono compagni mentre salgo: curiosità, voglia, decisione, fatica, sicurezza, timore, coraggio, rabbia, stanchezza… Ed era bello vedere quel sorriso, forse proprio perché non c’era sempre. C’era nel momento giusto. Come una traccia sulla pietra o un’indicazione o una croce che ti dice “Vedi, sei sulla strada giusta” o un rifugio o una cima che ti dice “Vedi, ce l’hai fatta!”.
L’altro ricordo è la voce
Ci arrivava chiara in alcune precise occasioni durante il cammino, ci sollecitava, ci richiamava al passo. Ma c’è stato un momento in cui, provati dal tempo e dalla stanchezza, abbiamo attraversato un punto delicato; non difficile, ma delicato. Era un tratto di neve, con un sentiero battuto, ma senza sponde e, giù in basso, un saracco, e il vuoto. Avevo fatto “l’errore”, mentre mi avvicinavo a quel passaggio, di notare questa cosa, ed avevo iniziato quel breve attraversamento già timoroso. In più, e questo sì che è un errore, avevo degli scarponi con poco grip, sicuramente già vecchi e usurati, certo non adatti a camminare sulla neve. Insomma, procedo con circospezione, con attenzione, ma… cado, e in un attimo scivolo, sono sul pendio e non riesco a fermarmi. E’ strano, perché, non essendo vicino il crepaccio, forse agli altri non sembrava una situazione pericolosa… Ma io in un singolo istante mi sono visto perduto, non riuscivo a fermarmi e sapevo che al fondo c’era il vuoto. Avrò poi fatto cinque, dieci, quindici metri. Non riuscivo ad aggrapparmi a nulla, questo amplificava in me la paura, diventava sgomento. “Punta i piedi!” Mi grida Beppe, “Punta i piedi!”. Secco, senza dire altro. Senza particolare preoccupazione. Non c’era timore nella sua voce, ricordo, e questo mi aiutò molto.
C’era un ordine. Mi sono aggrappato a quell’ordine, mi sono aggrappato a quella voce. Ho fatto come diceva e in breve mi sono fermato, mi sono ripreso. E quello che mi sembrava impossibile si è risolto con un rientro, sorridente, sul sentiero, col gruppo. E’ stato bello vivere insieme un’avventura così intensa come quella “due giorni”. E ricordo il brindisi con il vino nei bicchieri di carta, al ritorno, come un istante bellissimo.
Penso di aver vissuto in poco tempo qualcosa che forse i suoi cari conoscono bene e saprebbero descrivere in mille modi con una ricchezza di colori ed un’intensità di calore certo ben più grandi. Penso però che, insieme alla stima e alla sconfinata gratitudine che si possa avere per un uomo come Beppe, per un padre come lui, possa dire qualcosa anche questa piccola esperienza: l’esperienza di un sorriso come rifugio, l’esperienza di una voce a cui aggrapparsi.
Giorgio B. – Giugno 2015
“Explevit tempora multa” dice la Sapienza: ha riempito di significato molto della sua vita.
Veramente: un uomo vivo, un cristiano vivo riempie di significato la propria vita. E Beppe Tonello era un uomo vivo, un cristiano vivo. Potremmo quindi ricordare molte cose di lui, e lo faremo; ma in questo momento mi preme di mettere in luce il Punto che ha generato quella vivezza. E niente, come il Vangelo letto domenica scorsa ci può aiutare. Risentiamo le espressioni di Cristo “chi ama il padre più di me, non è degno di me – chi avrà perduto la vita per causa mia la ritrova”.
Cristo con queste parole apparentemente paradossali, rende esistenziale, concreto (i.e. legato alla nostra esperienza umana) il più grande, assoluto, e, dopo il peccato originale, il più drammatico principio morale: amerai Dio sopra ogni cosa. Sopra ogni cosa.
Di più. Applicando a sé quel sopra ogni cosa, Cristo afferma che veramente da Maria è nato il Verbo fatto carne e che da Maria è nato quel Corpo che è presente in mezzo a noi, che siamo noi, cioè la comunione dei battezzati, la Chiesa. Quindi applicando a sé quel principio assoluto e drammatico, rende possibile e sperimentabile per noi l’amore a Cristo, sopra ogni cosa, nel contesto della sua presenza nel mondo. Ma rende sperimentabile il più paradossale miracolo: l’amore a Cristo non ti separa dal mondo, non ti esclude, ma ti spalanca alla totalità (il tutto nel frammento) e ti apre al desiderio di tutto. Ecco il Punto che genera quella vivezza, che dà senso alla vita e che t’impegna con tutta la vita.
Conobbi Beppe negli anni ’70
in occasione di una tornata elettorale particolarmente tormentosa e densa di pericoli ….. io ci capivo poco di strategie politiche, lui invece era piuttosto bravo e preparato. Da parte mia avevo chiaro “per che cosa” e soprattutto “per Chi” ci stavamo giocando. Nello scambio io continuai a capirci poco, mentre lui afferrò in profondità che cosa significhi sapere che cosa voglio e per Chi lo voglio. Ed iniziò un pacato e profondo cammino. Qualche tempo dopo, mentre andavamo a un incontro, parlammo a lungo, e con stupore e gioia potei assistere al miracolo di un’anima che ha incontrato Cristo.
Chi avrà perduto la vita per causa mia la ritrova: chi sceglie Cristo, sceglie (SanPaolo) la realtà e non le ombre e diventa un uomo vivo, perché Cristo è fedele. Quella scelta è il Punto che spiega un’esistenza fatte di amicizie profonde, di saggezza, di presenza ecclesiale e sociale, spiega la scelta della fraternità e, ultimamente, il grandioso lavoro per il Banco Alimentare. La scelta di quel Punto spiega in una parola “un uomo vivo”, un “cristiano vivo”.
Alla famiglia – siamo partecipi al vostro dolore, ma so di potervi chiedere questo: custodite come dono prezioso la memoria di vostro padre e marito; e soprattutto, per voi e per noi tutti, custodite il significato della sua esistenza alla luce di Cristo. Un’ultima preghiera. Caro Beppe, appena ti sarà possibile abbraccia per noi don Gius.
don Vittorio Bordiga, omelia per il funerale di Beppe – Giugno 2005
…nell’abbraccio della compagnia di Gesù anche la più assurda tragedia può gridare al mondo che il bene è possibile, che il bene fatto non va mai perduto e porta frutto, come il bene seminato tutta la vita da Beppe si è clamorosamente manifestato anche nel momento della morte.
Io sono certo che quando il Signore chiama a sé qualcuno così chiaramente “Suo” in maniera così clamorosa è proprio perché si manifesti al mondo che la vita vale quando è spesa per Lui, come sempre Beppe ci ha indicato, con la consueta discrezione, accogliendoci paternamente a casa vostra, accompagnandoci in montagna, o nella dedizione senza misura al Movimento e alle sue opere di carità…
Gianni – Giugno 2005
Il “silenzio di ordinanza” che il bravo trombettiere dell’A.N.A. ci ha fatto gustare con quella ricorrente fuga musicale, anche oggi ci ha commossi ed invitati a cercare nella memoria e nel cuore il nostro Beppe. Anche lui si faceva pensieroso e commosso in tante circostanze come questa.
Nei pochi attimi di raccoglimento, mentre le note del “silenzio” si disperdevano in questa chiesa che Beppe ha tanto amato e frequentato, penso che tutti noi abbiamo fissato l’altare su cui si è compiuto il sacrificio di Gesù, abbiamo posato gli occhi su questa bara, così semplice da apparire disadorna, ma c’è Gesù in croce che spazia a tutto campo! Abituati come siamo a tanti funerali in cui i fiori abbondano e si sprecano, non comprendiamo la ricchezza dell’ultima sorpresa che Gabriella e i suoi figli han voluto fare a Beppe, sicuri che l’avrebbe gradita: una ciotola di stelle alpine con qualche genzianella, un mazzo di regina delle alpi ai piedi del Crocifisso.
Fiori che nella loro semplice e rara bellezza parlano da sé
e non amano essere raccolti con facilità ….. spuntano e crescono sui dirupi più impensati che si raggiungono dopo ore di cammino faticoso, su per sentieri non sempre agevoli ….. fiori che con i loro colori, un grigio pastoso la stella alpina, un viola vellutato la genzianella e la regina delle alpi …. adornano le nostre montagne, e, in perfetta simbiosi nell’angolo in cui crescono, vogliono ricordarci la perfezione artistica del Creatore! Fiori che anche Beppe ha raccolto tante volte per adornare i richiami sacri che con i giovani di Confreria ha incrementato su tante cime delle Marittime e Cozie.
C’è tutto Beppe in questi fiori: la sua anima che riconosceva la presenza di Dio nella immensità della Creazione, la sua formazione umana e cristiana, il suo carattere dolce e serio tanto da non illudere mai chi avvicinava, il suo coraggio nell’assumere responsabilità, il suo cuore grande e colmo di Dio che riversava nel cuore dei suoi cari. Ci mancherai, Beppe! Mancherai a Gabriella e ai tuoi figli, ai tuoi parenti, ai tuoi amici e colleghi di lavoro. Mancherai alla tua comunità cristiana di cui eri parte viva e attiva, alla comunità civile di Confreria che hai rappresentato per tanti anni nella amministrazione comunale e che oggi nella persona del suo Sindaco e del gonfalone della nostra Cuneo, è qui per dirti il suo “grazie”.
Mancherai agli amici di Azione Cattolica e di Comunione e Liberazione che trascinavi con le tue convinzioni e il tuo esempio …. e, permettimelo, mancherai anche a me, tuo parroco per 17 anni: i tuoi consigli, il tuo incoraggiamento e pressanti insistenze perché li accettassi anche se mi sembravano … fuori misura! Oggi tante attività di Confreria mi dicono che avevi ragione! Grazie Beppe!
don Dino Agnese – Giugno 2005
Giuseppe (Beppe) Tonello, 1935 – 2005
Nell’agosto del 1975 due alpinisti muoiono
salendo al Monte Bianco sulla “Via dei Rochers”. Beppe e Andrea Castellero percorrono – il giorno dopo – la stessa via, intravedendo i loro corpi senza vita. Un appunto veloce vergato a mano da Beppe, al fondo di un articolo di giornale che riporta la tragedia: “Per almeno un’ora pensai se l’alpinismo aveva un senso”.
Da una successiva lettera all’amico Andrea Castellero: “Ma la risposta viene spontanea, completa, non appena volgiamo lo sguardo alla Montagna, o col pensiero riandiamo ai giorni trascorsi su essa: no non sono morti inutili quelli della montagna. Sarebbero allora inutili i morti di ogni ideale e sono gli ideali che spingono l’umanità sulla via del progresso (…)”
Programma per 4 giornate di salite sul Cervino e Gruppo del Monte Rosa