Guardando con stima alla nuova vita del sito web della Compagnia della Cima e seguendone con attenzione i primi passi, mi sono domandato che contributo potessi dare al confronto e all’incontro tra persone di valore e di valori, con radici esperienziali e culturali anche profondamente diverse. Io sono un uomo del fare, certamente non un intellettuale. Ho deciso perciò di partire dall’esperienza, dalla mia passione per la montagna.
Mi sono domandato spesso il perché, la radice di questa passione, che per tanta parte può essere educata e coltivata, ma che devi comunque avere dentro, almeno in embrione.
Andare per monti per me non è mai solamente una “attività fisica”: a piedi, con corde e piccozze, con sci o racchette da neve, da soli o con gli amici, è innanzitutto e sempre una scoperta. Scoperta di cime, ghiacciai, panorami, fiori che non ho fabbricato con le mie mani. Ci sono, pensati e creati indipendentemente dalla mia volontà, come d’altronde me! Ma essi ci sono per me. Essi sono un segno della bellezza della realtà, segno di una Bellezza, che mi attrae e ogni volta mi provoca mille domande: “Chi ha fatto tutto questo?” “Cosa rende bella e piena di gusto e significato tutta la vita?”. (Da Cosa amiamo)
Come scrive Don Luigi Giussani, una delle persone più decisive per me: “Le domande ultime che sono la stoffa della umana coscienza, della umana ragione si destano nell’impatto dell’io con la realtà”.
C’è ogni volta un aspetto di stupore e di commozione che non so vincere e che non voglio vincere. L’andare in montagna è per me un paradigma della vita e mi rilancia immancabilmente nella sfida di desiderare di fare la cosa giusta, di lasciare una traccia nella mia esistenza, di dare il meglio di me, di non lasciare indietro nessun compagno di strada, che il gusto di quel che sto facendo non è solo nel raggiungimento della meta, ma anche nel passo che sto compiendo.
Per me l’esperienza di essere compagni di cordata, di escursione, …, rende anche più facile una vera amicizia. Con un compagno di cordata o di gita impari a fare i passi insieme, a dipendere da lui, a tenere conto di lui, a conoscerlo più profondamente, ad accettare i suoi e i tuoi limiti. E’ più facile, più immediato, forse più necessario, mettere a nudo con sincerità la propria umanità. E questa è merce rara e preziosa.
Che la montagna sia paradigma della vita (anche pensando ai tanti morti in montagna di questi mesi), me lo ha riproposto un recentissimo personale episodio: durante l’ascensione più bella e impegnativa che ho mai affrontato (il Cervino), la rinuncia della cima quando ti sembra a portata di mano. La rinuncia è difficile, ma necessaria, è un atto di umiltà, di rispetto, di responsabilità; la montagna non fugge di certo e la puoi affrontare anche un’altra volta, e non rinunci a nulla.
Sono convinto che la montagna possa darti tantissimo se il rispetto verso di essa è totale, diventa commozione davanti a ciò che ti mostra, diventa memoria per la gente che l’ha conquistata, che l’ha abitata, per gli eventi che sono accaduti (spesso stupendamente narrati dai canti della tradizione popolare, che adoro e che mi commuovono), diventa testimonianza per quello che è la sua storia, per quello che ti fa vivere.
E occorre rispetto verso di sé e non volere a tutti i costi arrivare là dove non puoi. La realtà comanda e io sono veramente uomo libero e lieto se lo accetto e regolo le mie scelte e il mio agire di conseguenza, che faccia l’alpinista, l’imprenditore, il manager o il padre di famiglia.
Due perle di saggezza che sintetizzano in parte quanto ho provato innanzi a comunicare:
la prima è del grandissimo alpinista Cesare Maestri: “… Ecco la cima. Per questo momento ho lottato e vissuto, ne valeva la pena? Mai come ora mi rendo conto che nessuna montagna vale una vita”;
la seconda di un poeta e romanziere tedesco, Walter Flex: “Perché ogni bellezza su questa terra ci afferra, anziché essere noi ad afferrarla?”
Desidero chiudere con un ultimo nesso personale: il luogo dove ho il privilegio di spendere in una dedizione piena le mie giornate lavorative – La Piazza Dei Mestieri – è intitolato a Marco Andreoni, amico morto in montagna e dalla cui amicizia totalizzante con i fondatori de “La Piazza” e con altri tra noi, è nata questa grande esperienza di impresa sociale. Ma questa è un’altra storia e merita probabilmente un racconto a parte, per mano di chi l’ha fondata.