Oggi 30 marzo 2020 è salito al Padre fra Bruno Castricini, questo breve scritto è in memoria di un amico che ho avuto la fortuna di conoscere e condividere con lui un lungo tratto di cammino.
Mi ricordo bene il giorno della sua ordinazione sacerdotale a San Pellegrino a Torino, il suo lungo servizio presso i Servi di Maria, la grande passione educativa svolta prima come maestro poi come educatore sia all’oratorio sia nelle comunità di Comunione e Liberazione sia nell’insegnamento della religione. E’ sempre stato un maestro che ti introduceva, graduando i passi, alle questioni importanti della vita.
In particolare, su questo sito dedicato alla montagna, ricordo la sua passione per essa e il luogo a cui era legato: la Val Clavalité. Lì in due baite ristrutturate per anni ha organizzato le vacanze estive.
Vacanze in cui tutti partecipavano alla vita comune, alla tipica vita da baita senza troppi confort, dai piccoli ai grandi.
La Val Clavalité, una valle dove riscopri ciò che è essenziale, una valle che quasi si mimetizza tra le valli aostane più conosciute alle spalle di Fenis e noi l’abbiamo conosciuta grazie a lui.
Le sue lunghe, lunghissime gite sono per molti di noi diventate “mitiche”.
Gite nei posti più selvaggi della valle, dove lui con passo lento e costante guidava il gruppo sempre ben imbacuccato, talvolta sbuffando e richiamando sempre in cammino ed oggi ha raggiunto la sua meta: la casa del Padre.
Allego uno scritto di un suo grande amico: Franco Azzalli dei Servi di Maria
Tra i molti che hanno perso la vita in questi giorni a causa della pandemia di covid-19 desidero ricordare il mio confratello fra Bruno M. Castricini, tornato al padre il 30 marzo scorso, dopo un breve periodo di ricovero al “Martini”.
Fra Bruno era nato il 26 settembre 1947 a Torino in una famiglia di lavoratori: il padre – uomo retto, nato nelle Marche – era venditore di scarpe; la mamma – donna con una fede rocciosa come le montagne di Calolzio Corte – aveva dato alla luce, oltre a Bruno, un altro figlio, Mario, mancato ai suoi cari lo scorso anno.
Io ho conosciuto Bruno nel 1966, all’oratorio della parrocchia di San Pellegrino di Torino, dalle origini officiata dai frati dell’Ordine dei Servi di Maria. Appena diplomato alle Magistrali, mise a servizio dei giovani della parrocchia il suo entusiasmo. Da subito emerse la prima caratteristica che secondo me definisce la presenza di Bruno: la sua passione per l’educazione alla fede dei giovani, in quel momento attraverso un doposcuola, gestito con altri giovani della parrocchia appartenenti all’Azione Cattolica. Dopo l’aiuto allo studio, si giocava. L’estate era una festa: tutto il mese di luglio nella ex scuola elementare della frazione di Orbeillaz (Challant-Saint-Anselme, Valle di Ayas), con giochi, passeggiate. Dal 1975 si andò in due baite sopra Fenis, in Val Clavalité: quante generazioni sono passate di là.
Bruno, come ho detto, aveva una passione per l’educazione alla fede dei ragazzi e dei giovani
Nel 1970 entrò in convento, rimanendo nella comunità di San Pellegrino a causa della gravissima malattia della mamma; per rimanere vicino a lei, Bruno fece tutto il percorso formativo (prenoviziato, noviziato, professato con gli studi filosofico-teologici all’allora F.I.S.T. nei locali accoglienti del Cottolengo) nella comunità parrocchiale di San Pellegrino. Quando lui entrò in convento, per noi non cambiò nulla, e anzi non ci accorgemmo della sua scelta: era sempre lì, appoggiato al muro dell’oratorio (Bruno era negato per qualsiasi gioco, sport, attività ginnica; intraprese solamente un corso di judo, con gusto, come ricordo), spesso con la pipa in bocca.
Tentò sempre di trasmetterci ciò che riceveva con passione: ricordo un anno che a novembre iniziò a proporre ai pochi giovani della parrocchia una riflessione settimanale sul vangelo di Marco, sollecitato dalle bellissime lezioni del Domenicano padre Mauro Laconi: ma non ebbe successo.
Il dramma di Bruno era di non trovare un metodo adeguato per l’educazione alla fede.
Cercò varie esperienze in diocesi, ma nessuna ebbe esito. Suo fratello Mario aveva aderito da alcuni anni al movimento ecclesiale di Comunione e liberazione. Nei seminari del tempo CL sembrava in posizione troppo “conservatrice” (si usavano ancora quei termini), rispetto all’aria di sinistra che si respirava: anche Bruno fece per un po’ di tempo resistenza a questa esperienza. Poi, però, da uomo concreto quale è sempre stato, alla fine cedette e fece venire suo fratello Mario insieme a qualche altro giovane del Movimento in parrocchia, ad incontrare i giovani. La “conversione” fu immediata, lo colpì l’intelligenza della fede di questi giovani, e così, da un giorno all’altro (come accadeva nell’Alto Medioevo) “aderì il capo con tutto il suo popolo”, e divenimmo tutti “ciellini”.
L’amicizia con i due preti che accompagnavano l’esperienza a Torino (don Bernardino Reinero, morto nel 1997 e don Primo Soldi) fu importantissima per Bruno. Fu un anno straordinario: all’inizio del 1975 avvenne l’incontro con il Movimento e in ottobre la sua ordinazione sacerdotale, insieme al Battesimo del primo nipote, Stefano.
Due anni dopo chiesi anch’io di entrare nell’Ordine
dopo un periodo di verifica della vocazione alla verginità accompagnato, insieme a molti altri giovani, da don Giussani in persona. Mentre lavoravo, nel febbraio del ’77 fra Bruno andò a parlare con il don Gius e videro che – insieme alla mia storia, che era stata sempre nell’orbita della parrocchia di San Pellegrino – la sua presenza nell’Ordine era garanzia per la mia vocazione. E entrai alla fine del 1977.
Spesso le nostre strade si sono separate (io sono stato a Firenze, in Veneto, a Roma dove ancora adesso mi trovo); lui sempre a Torino (nella parrocchia del Pilonetto oltre a quella di San Pellegrino) e a Rivoli, a causa della malattia della mamma.
Dal 1989 fu priore della provincia religiosa di Piemonte dei Servi di Maria, per 6 anni: in questo ufficio, tra l’altro sostenne con il suo entusiasmo l’esperienza missionaria dei Servi di Maria in Albania (dal 1991), come mi è stato ricordato ancora in questi giorni da una suora che l’ha conosciuto in quegli anni; e il processo di unificazione tra la sua e un’altra provincia religiosa dei Servi di Maria.
Terminato il provincialato venne eletto parroco nella parrocchia di San Pellegrino, servendo in questo ruolo fino alla morte. Già prima, e continuando sempre di più in tutti questi anni, è venuta fuori quella che secondo me è l’altra grande caratteristica di Bruno, la capacità di fare compagnia a chi fa fatica, senza mollare mai, mettendo al centro la persona piuttosto che le regole. Un’esperienza straordinaria di cui moltissimi possono dire e testimoniare: forse il vuoto più grande che Bruno lascia.
Non era facile vivere gomito a gomito con Bruno
ed era sorprendente che con il suo carattere burbero e timido avesse tanta gente che gli voleva realmente bene.
L’ho sentito l’ultima volta il 25, festa dell’Annunciazione: con una voce bella, serena e amichevole anche se affaticata, mi disse che era contento se ci sentivamo, e che se non rispondeva era perché era con medici. Non ha più potuto rispondere.
Il modo nel quale è stato chiamato a vivere gli ultimi giorni e la morte (solo, senza poter comunicare con nessuno) è un grande mistero che rimane nel cuore e domanda un cambiamento alla nostra vita. Un suo “ragazzo” (ora grande) alla notizia del decesso ha scritto: «Tu che non hai mai lasciato solo nessuno, tu che mi hai abbracciato e accompagnato negli anni più difficili, tu che hai accompagnato tanti poveri cristi, tu che non ti sei mai scandalizzato dei nostri peccati, tu brontolone eppure sempre pronto a fare la volontà del Signore, tu solo nel tuo letto di ospedale, senza nessuno di noi tuoi figli che ti potesse tenere la mano, te ne sei andato.
Ma la Madonna, da te tanto amata, sarà stata lì con te, prendendoti per mano ti ha portato a riabbracciare i tuoi cari e gli amici come Marco [uno dei suoi “ragazzi”, morto in montagna nel 1986] che staranno facendo festa in cielo. Le lacrime scendono da sole in un misto di dolore e gratitudine. Prega per noi, padre buono, sostieni il nostro cammino di fede come hai sempre fatto. Nel mio e nel cuore di tanti sarai presente, per sempre».
È così. Grazie, Signore. Veni sancte Spiritus, veni per Mariam.
Uno scritto di un suo grande amico: Franco Azzalli dei Servi di Maria
Tra i molti che hanno perso la vita in questi giorni a causa della pandemia di covid-19 desidero ricordare il mio confratello fra Bruno M. Castricini, tornato al padre il 30 marzo scorso, dopo un breve periodo di ricovero al “Martini”.
Fra Bruno era nato il 26 settembre 1947 a Torino in una famiglia di lavoratori: il padre – uomo retto, nato nelle Marche – era venditore di scarpe; la mamma – donna con una fede rocciosa come le montagne di Calolzio Corte – aveva dato alla luce, oltre a Bruno, un altro figlio, Mario, mancato ai suoi cari lo scorso anno.
Io ho conosciuto Bruno nel 1966, all’oratorio della parrocchia di San Pellegrino di Torino, dalle origini officiata dai frati dell’Ordine dei Servi di Maria. Appena diplomato alle Magistrali, mise a servizio dei giovani della parrocchia il suo entusiasmo. Da subito emerse la prima caratteristica che secondo me definisce la presenza di Bruno: la sua passione per l’educazione alla fede dei giovani, in quel momento attraverso un doposcuola, gestito con altri giovani della parrocchia appartenenti all’Azione Cattolica. Dopo l’aiuto allo studio, si giocava. L’estate era una festa: tutto il mese di luglio nella ex scuola elementare della frazione di Orbeillaz (Challant-Saint-Anselme, Valle di Ayas), con giochi, passeggiate. Dal 1975 si andò in due baite sopra Fenis, in Val Clavalité: quante generazioni sono passate di là.
Bruno, come ho detto, aveva una passione per l’educazione alla fede dei ragazzi e dei giovani. Nel 1970 entrò in convento, rimanendo nella comunità di San Pellegrino a causa della gravissima malattia della mamma; per rimanere vicino a lei, Bruno fece tutto il percorso formativo (prenoviziato, noviziato, professato con gli studi filosofico-teologici all’allora F.I.S.T. nei locali accoglienti del Cottolengo) nella comunità parrocchiale di San Pellegrino. Quando lui entrò in convento, per noi non cambiò nulla, e anzi non ci accorgemmo della sua scelta: era sempre lì, appoggiato al muro dell’oratorio (Bruno era negato per qualsiasi gioco, sport, attività ginnica; intraprese solamente un corso di judo, con gusto, come ricordo), spesso con la pipa in bocca.
Tentò sempre di trasmetterci ciò che riceveva con passione: ricordo un anno che a novembre iniziò a proporre ai pochi giovani della parrocchia una riflessione settimanale sul vangelo di Marco, sollecitato dalle bellissime lezioni del Domenicano padre Mauro Laconi: ma non ebbe successo.
Il dramma di Bruno era di non trovare un metodo adeguato per l’educazione alla fede. Cercò varie esperienze in diocesi, ma nessuna ebbe esito. Suo fratello Mario aveva aderito da alcuni anni al movimento ecclesiale di Comunione e liberazione. Nei seminari del tempo CL sembrava in posizione troppo “conservatrice” (si usavano ancora quei termini), rispetto all’aria di sinistra che si respirava: anche Bruno fece per un po’ di tempo resistenza a questa esperienza. Poi, però, da uomo concreto quale è sempre stato, alla fine cedette e fece venire suo fratello Mario insieme a qualche altro giovane del Movimento in parrocchia, ad incontrare i giovani. La “conversione” fu immediata, lo colpì l’intelligenza della fede di questi giovani, e così, da un giorno all’altro (come accadeva nell’Alto Medioevo) “aderì il capo con tutto il suo popolo”, e divenimmo tutti “ciellini”. L’amicizia con i due preti che accompagnavano l’esperienza a Torino (don Bernardino Reinero, morto nel 1997 e don Primo Soldi) fu importantissima per Bruno. Fu un anno straordinario: all’inizio del 1975 avvenne l’incontro con il Movimento e in ottobre la sua ordinazione sacerdotale, insieme al Battesimo del primo nipote, Stefano.
Due anni dopo chiesi anch’io di entrare nell’Ordine, dopo un periodo di verifica della vocazione alla verginità accompagnato, insieme a molti altri giovani, da don Giussani in persona. Mentre lavoravo, nel febbraio del ’77 fra Bruno andò a parlare con il don Gius e videro che – insieme alla mia storia, che era stata sempre nell’orbita della parrocchia di San Pellegrino – la sua presenza nell’Ordine era garanzia per la mia vocazione. E entrai alla fine del 1977.
Spesso le nostre strade si sono separate (io sono stato a Firenze, in Veneto, a Roma dove ancora adesso mi trovo); lui sempre a Torino (nella parrocchia del Pilonetto oltre a quella di San Pellegrino) e a Rivoli, a causa della malattia della mamma.
Dal 1989 fu priore della provincia religiosa di Piemonte dei Servi di Maria, per 6 anni: in questo ufficio, tra l’altro sostenne con il suo entusiasmo l’esperienza missionaria dei Servi di Maria in Albania (dal 1991), come mi è stato ricordato ancora in questi giorni da una suora che l’ha conosciuto in quegli anni; e il processo di unificazione tra la sua e un’altra provincia religiosa dei Servi di Maria.
Terminato il provincialato venne eletto parroco nella parrocchia di San Pellegrino, servendo in questo ruolo fino alla morte. Già prima, e continuando sempre di più in tutti questi anni, è venuta fuori quella che secondo me è l’altra grande caratteristica di Bruno, la capacità di fare compagnia a chi fa fatica, senza mollare mai, mettendo al centro la persona piuttosto che le regole. Un’esperienza straordinaria di cui moltissimi possono dire e testimoniare: forse il vuoto più grande che Bruno lascia.
Non era facile vivere gomito a gomito con Bruno, ed era sorprendente che con il suo carattere burbero e timido avesse tanta gente che gli voleva realmente bene.
L’ho sentito l’ultima volta il 25, festa dell’Annunciazione: con una voce bella, serena e amichevole anche se affaticata, mi disse che era contento se ci sentivamo, e che se non rispondeva era perché era con medici. Non ha più potuto rispondere.
Il modo nel quale è stato chiamato a vivere gli ultimi giorni e la morte (solo, senza poter comunicare con nessuno) è un grande mistero che rimane nel cuore e domanda un cambiamento alla nostra vita. Un suo “ragazzo” (ora grande) alla notizia del decesso ha scritto: «Tu che non hai mai lasciato solo nessuno, tu che mi hai abbracciato e accompagnato negli anni più difficili, tu che hai accompagnato tanti poveri cristi, tu che non ti sei mai scandalizzato dei nostri peccati, tu brontolone eppure sempre pronto a fare la volontà del Signore, tu solo nel tuo letto di ospedale, senza nessuno di noi tuoi figli che ti potesse tenere la mano, te ne sei andato. Ma la Madonna, da te tanto amata, sarà stata lì con te, prendendoti per mano ti ha portato a riabbracciare i tuoi cari e gli amici come Marco [uno dei suoi “ragazzi”, morto in montagna nel 1986] che staranno facendo festa in cielo. Le lacrime scendono da sole in un misto di dolore e gratitudine. Prega per noi, padre buono, sostieni il nostro cammino di fede come hai sempre fatto. Nel mio e nel cuore di tanti sarai presente, per sempre».
È così. Grazie, Signore. Veni sancte Spiritus, veni per Mariam.