Dalla rivista Tracce un bell’articolo di Laura Cioni su Don Bernardino Reinero: l’avventura di un parroco che ci ha spalancato al significato della vita e fatto amare le montagne.
La fisionomia di don Bernardino Reinero, meglio conosciuto come don Berna, emerge dalle pagine del libro di Adriano Moraglio (L’uomo che faceva ascoltare ndr.) e si intreccia con un pezzo della storia della situazione civile ed ecclesiale in Piemonte e soprattutto con un tratto significativo della storia di Comunione e Liberazione.
Per questo, ha ragione Vittorio Messori nel concludere la sua prefazione al testo: «Queste pagine serviranno non solo a scoprire l’appassionata, breve ma intensa avventura di un prete a tutto tondo, ma anche a rendersi conto ancor meglio di quale sia la prospettiva cristiana, anzi cattolica, per guardare il mondo d’oggi e riproporgli l’annuncio di salvezza del Vangelo».
Parole e fotografie disegnano un ritratto di don Berna più dettagliato e insieme più profondo di quanto potesse immaginare chi lo conosceva un po’ da lontano.
Nasce sulle colline attorno a Cuneo nel 1941
le sue origini sono contadine e in esse ha forte rilievo la figura del padre, che accetta come volontà di Dio la chiamata del figlio undicenne al sacerdozio, ben sapendo che così gli verranno a mancare due braccia maschili sulle quali contava.
La passione per il calcio e l’indefessa fede juventina, insieme all’interesse per la musica e l’arte e all’amore per la montagna, accompagnano non solo la giovinezza, ma anche l’età matura e non di rado diventano strumenti per la sua missione di insegnante, di sacerdote e di parroco.
Su questa personalità umanamente ricca, anche di contrasti, ma soprattutto fondata sulla roccia della fede, si innesta attorno agli anni Settanta l’incontro con Comunione e Liberazione, prima attraverso un piccolo gruppo di studenti amici che vede pregare in fondo alla sua chiesa, poi con la conoscenza diretta della parola e della persona di don Giussani. Egli diviene così in quegli anni difficili il primo animatore delle comunità cielline in Piemonte.
L’autore ripercorre attraverso innumerevoli episodi e tanti ricordi personali degli amici, degli studenti, dei parrocchiani, l’instancabile attività di don Berna, sostenuta dalla preghiera e dall’attenzione alla singola persona: «Chi stava con lui aveva la chiara impressione di essere, in quel preciso momento, la cosa più importante al mondo!».
Trascorrono anni di presenza in prima linea nell’ambiente scolastico, con i suoi ragazzi sempre più numerosi e sorgono insieme incomprensioni, provenienti talvolta anche dall’ambito ecclesiale.
Un’altra tappa decisiva
Nel 1984 un’altra tappa decisiva e questa volta dolorosa nella sua vita così intensa: un brutto infarto, una delicata operazione interrompono la caparbietà dell’azione. Don Berna acquista la forza della docilità e, ancor giovane, deve ridimensionare i suoi impegni. Si vede costretto a lasciare l’insegnamento, ha bisogno di maggiore riposo. Ma l’esistenza si riapre lentamente.
Nel 1989 monsignor Saldarini gli affida la popolosa parrocchia di Santa Giulia e l’obbedienza alle parole pronunciate dal suo Arcivescovo in occasione dell’ingresso ufficiale in una realtà non scevra di diffidenza di una parte dei fedeli, per don Berna si traduce così: «Io voglio parlare di Cristo, voglio parlare dell’umanità di Cristo». A tutti.
Questa determinazione è all’origine di una grande apertura rispetto a chi collabora alla parrocchia come a chi si ne è allontanato, ma anche delle direttive e dei consigli che egli dona e sa ricevere dai sacerdoti suoi collaboratori, della ritrosia a chiedere soldi per il restauro del soffitto della sua chiesa e delle iniziative per trovarli, della saggezza nel rispettare situazioni familiari difficili e della prudenza nell’indicare vie di soluzione, della cura della sua salute, tra i monti e con gli amici più stretti.
Un giorno una sua studentessa di vent’anni prima, andando a trovarlo, gli chiede come faccia a essere così disponibile verso tutti. Ecco la risposta di don Berna: «Celebro la messa, confesso, la gente mi viene a parlare e io faccio loro compagnia. È tutto qui!».
Il libro di Moraglio
non insiste molto sugli anni seguenti, anche perché i ricordi degli amici, ripercorsi con attenzione, si rincorrono lungo strade che non sono solo cronologiche, come se ci fosse qualcosa che, letto a posteriori, unificasse il percorso di una vita.
Nell’ottobre 1997 in una mattina iniziata come le altre, la fibra di don Berna cede improvvisamente. È una lotta di venti giorni, tra la vita e la morte, accompagnata dalla preghiera di tutti i suoi amici, vicini e lontani, che chiede il miracolo. «Sia fatta la volontà di Dio», mormora suo padre alla notizia della morte, come il giorno in cui aveva acconsentito a che il figlio diventasse prete.
di Laura Cioni