Svegliarsi nella selva amazzonica peruviana con le prime luci che filtrano nel fitto della boscaglia e iniziano ad illuminare l’interno della tenda, incantati ad ascoltare una spettacolare sinfonia di canti di uccelli tropicali, per un alpinista può sembrare anomalo… ma non lo è – “dai 6000 metri dell’Ausangate al cuore della selva amazzonica” -.
La nostra spedizione “Perù 2024”
è partita dai (quasi) 6000 metri dell’Ausangate, una delle vette sacre per gli antichi Incas, tutt’ora guardata con rispetto e timore dai peruviani, e ammirata da alpinisti e turisti stranieri.
E’ il colosso della Cordigliera Vilcanota, a sud di Cuzco. La vetta più alta di quel gruppo montuoso, che spicca sopra altre splendide cime di altezza variabile tra i 5000 e i 5900 metri.
La cresta sud-est dell’Ausangate
doveva essere la nostra via alla vetta, 6380 m. Ma la notte del 24 agosto scorso, dopo essere partiti poco dopo mezzanotte dalla tenda sulla morena del ghiacciaio a quota 5400 ed avere risalito tratti di ghiacciaio incredibilmente crepacciati (personalmente credo in vita mia di non avere mai superato tanti ponti di neve esili e precari come quella notte!) ci siamo imbattuti in una rampa di ghiaccio veramente infame. Era il passaggio chiave ed obbligato della via, l’accesso alla cresta. Ma la totale assenza di neve e la presenza invece di un ghiaccio nero, durissimo, tempestato di pietre, brutto anche solo da guardare, al secondo tiro ci ha respinto. Credo saggiamente abbiamo deciso di scendere e tornare sui nostri passi, rinunciando alla vetta e concentrandoci, a quel punto, sull’alba spettacolare che ci ha accolto in discesa.
Anche su queste montagne così lontane il riscaldamento globale sta modificando tutto! Le vie che prima si percorrevano fino a stagione inoltrata (agosto, settembre) ora si seccano presto, e quindi devono essere percorse ad inizio stagione (maggio, giugno). Sull’Ausangate eravamo io e Miguel Martinez, guida peruviana e nostro amico da 10 anni. Da Rimini siamo partiti in tre: io, mio figlio Andrea e l’amico di sempre Michele Piva.
Malgrado la vetta mancata
due giorni prima abbiamo comunque salito una bella (e facile) vetta di 5600 metri, che laggiù quasi sembrano pochi… il Wamantilla, curioso nome quechua.
Ma la bellezza maggiore di quei giorni è stato il trekking per raggiungere quelle montagne: giornate stupende trascorse tra pampas altissime dove pascolano lama e alpaca, passi a quasi 5000 metri di altezza, vette innevate che facevano da contorno e cieli di un azzurro abbagliante. Ore e ore di cammino per diversi giorni con il nostro simpaticissimo arrieros Florentio che ci accompagnava con i suoi cavalli per trasportare i pesi maggiori. Tutto uno spettacolo quasi solo per noi.
Seconda parte della spedizione
E poi è venuta la seconda parte della spedizione, quello che era (di fatto) il principale e tanto sognato obiettivo. Dopo un trasferimento di 8 ore in pullman dalla città di Cuzco, ci siamo addentrati nella zona amazzonica della regione, fino alla mitica valle di Vilcabamba, dove gli ultimi Incas scapparono dai conquistadores spagnoli e trovarono un rifugio nascosto dove resistettero per 40 anni, letteralmente imboscati tra vette oltre i 5000 metri.
e i profondi barrancos della selva. Ospitati dai preziosi amici missionari della Operazione Mato Grosso (OMG), che ci hanno aiutato e assistito nella nostra spedizione, siamo discesi per 3 giorni dagli alti pascoli della sierra a quota 4000 fin dentro il cuore della selva, a quota 1000, fino a raggiungere le sperdute rovine di Espiritu Pampa, ultima cittadella incaica veramente nascosta nella giungla.
In ambienti e scenari che ricordavano i film di Indiana Jones, circondati da alberi di banane, piante del caffè e pappagalli coloratissimi.
Un vero e proprio “viaggio” il nostro, in tutti i sensi. Quattro settimane trascorse attraversando luoghi incantati e misteriosi e incontrando le persone più diverse, sempre sorridenti e accoglienti con noi. Alcuni con storie pazzesche da ascoltare, a partire dai sacerdoti e dai missionari laici della OMG, che danno la loro vita (alcuni una parte, alcuni tutta la vita) per l’assistenza e soprattutto la formazione professionale dei più poveri in quelle terre così lontane da noi e cosi affascinanti.
E proprio questi incontri sono stati la sorpresa e il vero tesoro, il vero “el dorado”, incontrato sul nostro cammino.