Vale la pena esser qui stasera

Sabato 28 giugno, ore 19.30, è una calda serata di fine giugno, e siamo saliti al Rifugio il Truc, in alta Val di Susa, il rifugio è a 1706 m e sarà più agevole, domattina, iniziare presto l’ascesa ai 3538 m del Rocciamelone.

Siamo una ventina di amici, e una tavola apparecchiata ci aspetta sotto un dehors al fresco. Cena piemontesissima: salame, acciughe al verde, polenta, cucinate da Samantha e qualche bottiglia di vino. Non troppo, però. Domani ci attendono quasi 1500 m di dislivello. Gianluca e Gianni sono saliti per la cena, ma domattina rientreranno in basso per altri impegni, Luigi ed Helen arrivano dalla Svizzera, si sono fatti 400 km per essere insieme. Mi siedo in fondo, con Paolo, amico da 30 anni e con Pietro, uno dei figli. L’altro figlio, Andrea, è a fondo tavola, dall’altro lato.

Perlopiù ci si conosce, ma qualcuno, almeno dal vivo, mi è nuovo. Breve giro di presentazioni, e Roberto ringrazia perché sono i 20 anni della nostra Compagnia, la Compagnia della Cima, nata proprio qui, sul Rocciamelone. Fu sua l’intuizione, e in tanti gli siamo andati dietro.

Paolo racconta di Beppe, suo papà, salito al cielo anche lui 20 anni fa, sulle pendici del Monte Rosa, fu lui a trasmettergli la passione per la montagna. “Agli inizi fu un obbligo” dice con un sorriso, “poi fu una consuetudine. Sarebbe stato felice di essere qui stasera” aggiunge, e in tanti ricordiamo quanto Beppe sia stato un incontro fondamentale per molti di noi. Nel frattempo, è arrivato don Angelo; sono 40 anni dalla Sua ordinazione.

Io sono un uomo felice e la mia felicità è Gesù” – dice don Luigi Maquignaz in un’intervista diventata un libro. “Ne ho trovato conferma proprio in montagna, dove non solo puoi vedere la sua presenza, ma puoi toccare con mano la sua grandezza (..) Ecco perché ne ero e ne sono tuttora attratto. Lui ha fatto queste straordinarie meraviglie per dire a me, a te, anche a chi non ha ancora fede, quanto è grande. E quindi, ecco perché è bene appoggiarsi a lui”.

Una di queste meraviglie è l’immediatezza tra noi a tavola, uno star bene vero, di quelli che ti convincono. Molto spesso vado in montagna ‘per staccare’, che è giusto, è sacrosanto, è umanissimo, ma c’è un modo di andare in montagna che è qualcosa in più, che dà di più; è un ‘attaccare’ o, meglio, un ‘attaccarsi’; o meglio ancora, per usare le parole di Maquignaz, “un appoggiarsi”.

Ecco, vale la pena esser qui stasera, salire insieme domani, vale la pena esserci, per accorgersi della bellezza e guardare meglio la realtà, senza escluder nulla, né le gioie né le miserie, né le vittorie né le cadute. Molti di noi – in un momento preciso della loro storia – hanno incontrato l’esperienza cristiana grazie a don Luigi Giussani, e possono dire di aver sperimentato e di sperimentare oggi – nell’umana fragilità – una certezza, figlia di una sua intuizione, che cioè solo una fede che c’entra con la vita affascina e regge nel tempo.

Sono le 23, domani ci alzeremo presto. È ora di dormire.

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Tè, caffè, biscotti. Un ritocco allo zaino, breve tratto in auto su sterrata e siamo alla partenza. Sono le 6,40. Il cielo è terso, Torino è laggiù, avvolta nella calura, qui una leggera brezza sfiora le braccia e accarezza l’erba, per scivolare più in alto, sulle pendici della montagna.

Un breve tratto di sentiero in mezzo ai prati e raggiungeremo la lunga cresta. La normale del Rocciamelone dalla Val di Susa, infatti, è una lunga risalita sul costone occidentale, prima dolce, sinuosa, su pendii erbosi, fino alla tappa intermedia, il Rifugio Cà d’Asti. Da qui si farà più severa, ardita, per tracce ben indicate sino alla Croce di Ferro. Infine, su scalini e passaggi attrezzati, arriveremo alla vetta.

Roberto è davanti e detta il passo; un incedere tranquillo, costante, adatto a tutti. Nel gruppo infatti c’è chi ha fatto il Cervino e chi è alle prime armi. In fondo Luigi chiude la fila, attento ai meno avvezzi.

Cerchiamo di salire in silenzio per non sprecar fiato, ma la prima parte è dolce, fresca e graduale, e siccome le regole son fatte per l’uomo e non viceversa, si finisce per parlar volentieri tra noi. Com’è quella salita? Siete poi scesi in doppia o slegati? Quest’estate passi da Brusson? Lavori ancora lì?

La Ca’ d’Asti compare all’improvviso, sopra di noi. Sono passate due ore e sto bene, decisamente bene, il che mi conforta, perché da quando è nato Lorenzo, 3 anni e mezzo fa, né io né Michela, mia moglie, abbiam più fatto grandi cose.

Dieci minuti di sosta, dunque; il tempo di rifiatare, qualcuno gratta un cumulo di neve e si riempie la borraccia, uno sguardo alle macchine giù in basso e poi di nuovo su, per non perdere il ritmo.

Ora la salita si fa più erta, l’orizzonte più ampio, e sulla sinistra ecco il Re di Pietra, dietro il gruppo dell’Orsiera; là in fondo ecco lo Chaberton, e i contrafforti dell’Ambin, imbiancati dall’ultima neve che ha resistito alla calura di queste settimane.

«Mentre tu fai i passi, devi amare la meta più che i passi. Nei passi devi amare qualcosa d’altro. Il passo non diventa però un pretesto momentaneo, no, perché quanto più tu ami la meta, quanto più tu ami quella vetta, tanto più ti ricordi con amore di ogni spuntone di roccia, di ogni sasso che devi brandire con la mano stretta, di ogni passaggio, di ogni momento in cui l’erba si affaccia sull’abisso, ti ricordi di tutto, ami tutto, tutti i sassi. Ami, se e nella misura in cui ami la meta». Luigi Giussani, La convenienza umana della fede

La fatica inizia a farsi sentire, e si sale in silenzio, più concentrati, siamo a 3000 metri, in un altro mondo, circondati dal fascino severo delle alte quote. Mi sento un privilegiato.

Più in alto, ecco la Croce di Ferro, sarà l’inizio del tratto finale.

Ancora un’ultima, breve pausa, ci fermiamo, attendiamo gli ultimi e siamo tutti in gruppo su uno spiazzo al centro della cresta, perfettamente simmetrica. L’orizzonte nel frattempo è diventato maestoso, la Francia è lì. Ecco il Pic de Rochebrune, il Giusalet, la Rocca d’Ambin, la Rognosa di Etache.

Il tratto che precede la cima è sempre stato il mio preferito, forse perché la fatica è al culmine, ma la meta è a un passo. Sai che è lì, che tra poco la vedrai, e questo basta a spingerti su.

Avanziamo in silenzio sul sentiero, intagliato nella roccia, costeggiando precipizi il cui fondo è nascosto da una leggera foschia. Nei punti più esposti corde e mancorrenti mi danno sicurezza, io e Alessandro procediamo insieme nell’ultimo tratto, raccomandandoci attenzione, cautela e calma. Vietato distrarsi. Ecco le braccia bronzee della Madonna del Rocciamelone, sulla guglia, lassù, ancora un passo, ancora un altro, eccomi, eccoci, siamo in cima!

Le braccia di don Angelo sono protese verso l’alto, come ogni giorno da 40 anni. Tra le sue mani, l’ostia consacrata si staglia nitida nel cielo azzurro, di fronte al Santuario di Nostra Signora del Rocciamelone, poco più in basso della vetta.

In cima, intanto, inizia arrivare gente. È un’assolata giornata di giugno, e molti ne hanno approfittato. Qualcuno si ferma, e osserva, qualcuno si unisce e partecipa. Giorgio, Giovanni e Alessandro intonano “Signore delle Cime”. Sono le 12.40, l’umidità inizia a salire dal fondovalle e si forma una leggera nube dietro alla quale, per qualche minuto, il sole scompare.

Io, Paolo, Andrea e Pietro decidiamo di scendere, il rientro non sarà breve e preferiamo giocare di anticipo. Alle 15.30 siamo alle macchine, tra poco rivedrò mia moglie e mio figlio, non vedo l’ora di raccontare. Stremati ma contenti ci salutiamo e ci auguriamo buona settimana.

Lunedì mattina, 8.30. Palazzo Prisma, Rivoli.

Prima di entrare in ufficio mi fermo a prendere un caffè al bar, come di consueto. Gianluca, il barista, è un ragazzo di 32 anni. I nostri figli sono nati a 3 giorni di distanza. È un gran lavoratore, in gamba, uno attento, preciso, gli piace osservare i clienti, gli piace servire.  Da quando ha preso la gestione del bar ha quadruplicato gli incassi. Da 8 anni, quando non sono in trasferta, passo da lui,  solo o coi colleghi.

“Allora – mi fa – tutto bene? Come va? Da lunedì, vero?” L’istinto di rispondere “Sì dai, va da lunedì” e di chiuderla lì, è lì in agguato, ma sono travolto dalla pienezza di questa due giorni. Cammino mezzo storto, eppure non mi son mai sentito così in piedi. Prendo lo smartphone, scorro le foto, gliele mostro. “Gianlu, son mezzo morto, ma son state due giornate stupende, guarda dove son stato. Questa è la vetta del Rocciamelone. Qui stiamo prendendo Messa, pensa, su in cima! Questi sono i miei amici”.

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Fabio Aquilano

Lavoro in un'azienda che si occupa di Tecnologie ICT. Ho scoperto la montagna a 12 anni, in gita al Col de Maurin, durante un campeggio in Valle Maira, portati dal parroco del paese. Ci sono tornato negli anni dell'università e da allora non ho più smesso. Collaboro alla redazione di questo sito insieme a Roby e gli amici con cui condivido amicizia e salite.

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